Come si produce il ghiaccio
On the Rocks, Please! Il Lato Freddo del Marketing
Sor’acqua, molto utile e umile e preziosa e casta. Dal 1840 anche gelata. Si racconta:
Da ragazzo, quando la mia famiglia abitava nel centro storico di Firenze, puntualmente ogni mattina arrivava un signore con un sacco di juta sulle spalle. Prima di salire in casa il signore chiedeva a mia madre: “Oggi mezza o intera?” Il sacco conteneva una barra di ghiaccio ed a seconda del cibo che doveva essere conservato (latte piuttosto che pesce, carne o verdure) l’esigenza era diversa.
A quei tempi non esistevano ancora in Italia i frigoriferi, o almeno i frigoriferi casalinghi, e il ghiaccio veniva messo nel lavello di cucina, insieme al cibo da conservare, coperto con dei panni per mantenere la temperatura. Pochi anni dopo l’industria cominciò a produrre frigoriferi e con questo elettrodomestico nelle case la conservazione del cibo cambiò totalmente volto.
Attualmente il mercato del ghiaccio alimentare vale a livello globale circa 4 miliardi di Euro, in Italia si tratta quasi completamente di ghiaccio autoprodotto mentre quello industriale vale solo 3 milioni. In Spagna la produzione industriale è pari al 50% e vale 140 milioni; solo questi dati permettono di comprendere che siamo di fronte ad un mercato che avrà sicuramente nei prossimi anni un’enorme crescita.
Ma come si produceva il ghiaccio prima dell’esistenza dei congelatori casalinghi e dei frigoriferi industriali?
Per secoli la neve, che poi si trasformava in ghiaccio, è stata raccolta durante l’inverno e immagazzinata in buche sotterranee rivestite di paglia per essere utilizzata nella stagione calda.
Nelle zone desertiche arabe era diffusa la degustazione del sorbetto (il cui nome deriva da şerbet), che non era altro che ghiaccio triturato per placare la sete e vincere il caldo del deserto. I persiani, come altri popoli medio orientali, avevano scoperto il modo di creare il ghiaccio nelle notti gelide, anche nelle torride giornate nel deserto sfruttando l’escursione termica.
Nella nostra Toscana, ma così come anche in altre regioni italiane, la neve veniva raccolta sulle montagne e pressata all’interno di enormi ghiacciaie. Nei dintorni di Firenze ne abbiamo di bellissime, addirittura una – ma si tratta di una ghiacciaia per un deposito temporaneo del ghiaccio che veniva dalle montagne pistoiesi – si trova alle Cascine, a forma di piramide egizia.
Il ghiaccio veniva prelevato dalla ghiacciaia (un complesso di vasche comunicanti per la produzione e di un edificio conico nel quale veniva stivato il ghiaccio) e portato in città, sia per la conservazione dei cibi che per usi alimentari.
Mercato del ghiaccio
Ma la storia più interessante in termini di marketing del ghiaccio, visto come oggetto prezioso ad elevato valore aggiunto, sostenuto da una buona pubblicità, mi sembra quella che vide protagonista il Lago Wenham.
Si tratta, almeno a mio avviso, di uno dei primi esempi di creazione di un bene di lusso riservato ai super ricchi (in questo caso londinesi).
Il lancio sul mercato del ghiaccio di Wenham fu un vero e proprio successo commerciale.
Questo lago situato nel New England (USA) nel corso dell’inverno ghiacciava completamente producendo enormi quantità di ghiaccio a costo zero. Charles Lander ebbe l’intuito di creare la Wenham LakeIce Company, un’azienda la cui mission era di raccogliere il ghiaccio nel New England per trasportarlo via nave nella Old Inghilterra.
La nave, dopo più sperimentazioni per riuscire a trasportare il massimo carico, venne coibentata con la paglia.
L’apparato pubblicitario fu per l’epoca incredibile. Innanzitutto fu aperto nello Strand di Londra un negozio nella cui vetrina si poteva ammirare il ghiaccio. Per farne capire la purezza, veniva posto dietro il ghiaccio un giornale, affinché tutti potessero vedere che questo era così trasparente e puro da permettere la lettura del giornale.
Poi si iniziò a far circolare la voce che anche la Regina utilizzava questo ghiaccio, “così puro di sali e di bolle d’aria che poteva resistere a temperature più elevate rispetto al ghiaccio normale senza sciogliersi” (in realtà questo argomento aveva poco senso ma si tratta di marketing).
La pubblicità, anche sui giornali, pubblicizzava il prodotto come “adatto per l’uso in tavola, per la miscelazione con liquidi e per la messa a contatto diretto con provviste alimentari”.
L’apertura del mercato non si limitò solo al ghiaccio, che veniva pubblicizzato come di qualità superiore (quindi un bene di lusso, d’altronde era il ghiaccio preferito dalla Regina Vittoria), ma creò il mercato indotto delle ghiacciaie in miniatura, “frigoriferi americani”, per una ottimale conservazione del ghiaccio e della temperatura.
Ma il case history prosegue, perché a questo punto, un volta acquistato il ghiaccio e il frigorifero americano, si poteva accedere ad un servizio di fornitura del ghiaccio settimanale (un abbonamento vero e proprio), “in modo che le provviste potevano essere conservate a lungo, senza sbalzi di temperatura e senza il minimo deterioramento dei cibi”.
Il gioco era fatto. Il commercio del ghiaccio diventò una moda e non solo aristocratica; le vendite andavano così bene che si generò il me-too della concorrenza, uno dei primi esempio di clonazione di un’idea di business.
La concorrenza cominciò a importare il ghiaccio dalla più vicina Norvegia, ma per non svilire il prodotto come una brutta copia, fece in modo di cambiare il nome del lago dove veniva estratto il ghiaccio esattamente in Wenham (per significare all’acquirente che la provenienza era rimasta sempre la stessa).
In seguito furono altri ad entrare sul mercato del ghiaccio segmentandolo sulla base del prezzo. Da una parte si iniziò a proporre un prodotto più a buon mercato mentre dall’altra si arrivò a trasportare il ghiaccio fino a Calcutta per la gioia degli straricchi inglesi che dimoravano in India.
Naturalmente l’utilizzo del ghiaccio e delle basse temperature ha modificato totalmente l’agricoltura e la possibilità di trasportare le merci alimentari in ogni parte del globo. Ma questa è un’altra storia…
Comunque per chi volesse saperne di più il riferimento più accreditato è “The Frozen Water Trade” di Gavin Weightman